Le mie avventure
L'avventura del Blanquilla: sopravvissuti alla burrasca
Quella che segue è una storia vera, vissuta in prima persona insieme
a sei amici.
Tra di essi c'era Carlo Landoni a cui si deve lo splendido racconto.
Il mare è affascinante, è coinvolgente.
Ti prende, ti rapisce, ti lascia senza fiato per la purezza delle sue acque,
per l'eleganza e la sinuosità delle sue onde, per la spettacolarità
dei suoi fondali, per i segreti che nasconde.
Il mare è una sensazione meravigliosa, splendida. E' la vita. Ti fa sentire
libero e potente.
A volte però il mare si può trasformare nel tuo peggior incubo.
Prima ti ammalia, ti circuisce, ti conquista, ti inganna perché ti fa
credere di poterlo dominare, poi, all'improvviso, mostra tutta la sua potenza,
la sua ira. Si fa terrificante, impressionante, ti fa sentire debole, indifeso,
inerme. Come chi, procedendo sicuro, a un tratto tra rovi aspri schiaccia un
serpente, a terra posando il piede, e trepido rifugge da quello che irato s'erge
e il livido collo gonfia, così è l'uomo di fronte alla potenza
del mare.
Capo Testa, Sardegna. E' una splendida giornata. Il sole caldo splende in un
cielo terso e sgombro di nubi. Il mare è calmo. Il Blanquilla, un'imbarcazione
a vela di 12 metri e mezzo, è ancorato, dolcemente cullato da onde quasi
impercettibili, a poche centinaia di metri dalla spiaggia. Il suo equipaggio,
7 giovani amici, combatte allegramente la canicola con tuffi degni del più
grande e celebrato dei campioni olimpici, inconsapevoli che le Parche stanno
tessendo per loro un tremendo destino.
In pochi istanti tutto cambia. Ciò che prima era luce, ora diventa buio.
In meno di un battito di ciglia il figlio di Saturno e di Rea, la divinità
dei mari, Nettuno, scatena l'inferno. Apollo e il suo cocchio dorato vengono
oscurati. Il sole scompare lasciando spazio a nubi oscure, portatrici di tristi
presagi, mentre Eolo, dio dei venti, scatena Maestrale, il più terribile
e terrificante dei suoi figli. Il mare si increspa, crescono le onde, il vento
comincia a soffiare e a bordo del Blanquilla ci si guarda, sbigottiti, sgomenti,
increduli di così repentino cambiamento.
Una Nuvola minacciosa si avvicina velocemente
Urge una decisione immediata. Rientrare a S. Teresa di Gallura o proseguire
per la più lontana Isola Rossa? Un dubbio che forse lo shachespeariano
principe di Danimarca, Amleto, non sarebbe riuscito a sciogliere in breve tempo,
ma fortunatamente, Mario, il nostro skipper, non è Amleto. Non sarà
slanciato, non sarà regale nel portamento, ma è deciso, conosce
il mare e nasconde dentro di sé una forza d'animo insospettabile. Ritornare
a S. Teresa di Gallura è impossibile. Con il mare di poppa, con le onde
che si fanno sempre più imponenti, con il vento che soffia sempre più
impetuoso, il Blanquilla si rovescerebbe senza opporre resistenza. Bisogna continuare,
proseguire per l'Isola Rossa, andare incontro a quella che ormai è diventata
una tempesta, finirci proprio nel mezzo.
Ancora inconsapevoli della lunga notte da tregenda che ci attende ci armiamo
di coraggio e proviamo a sfidare il mare, così vasto e potente, con le
nostre, al confronto piccole, vele. Pieni di tensione apriamo, in un lavoro
frenetico, prima la randa e poi il fiocco. Proviamo a sfruttare il vento che
soffia già a raffiche di 30 nodi per riparare quanto prima all'Isola
Rossa. Ma resistiamo pochi minuti. Le onde invadono e allagano il pozzetto di
comando, la loro inaudita violenza si infrange contro di noi, miseri di fronte
alla devastante forza della natura. Subito siamo fradici, bagnati, infreddoliti.
Respiriamo a fatica, con affanno perché il mare non ci concede tregua,
perché ad un'ondata ne segue immediatamente un'altra. Tutto inutile!
Le cime delle scotte, zuppe d'acqua, si trasformano, da preziose compagne per
guidare il fiocco, in insidiose nemiche, pronte a ferire le nostre deboli mani.
Il timone, prima docile e condiscendente, ora diventa ribelle costringendo Mario
ad una fatica supplementare per tentare di tenere la rotta. Il Blanquilla è
quasi ingovernabile.
Per natura l'uomo tende sempre a ricercare l'impresa impossibile, ma a volte
più del coraggio può la saggezza. Il nostro skipper dà
l'ordine di ammainare le vele. Troppo pericoloso proseguire così.
Si andrà a motore. E noi tendiamo i nostri muscoli per avvolgere fiocco
e randa e benché fradici riusciamo a percepire il sudore che gronda dalle
nostre fronti per l'immane fatica: la prima battaglia è vinta. Poi il
secondo ordine. Al timone, in mezzo alla tempesta, a resistere al mare impazzito,
a nembi bassi, scuri e saettanti, resteranno, indossate mute termiche, soltanto
lui e il suo vice, anch'egli, così vuole il destino, di nome Mario. Tutti
noi, invece, sottocoperta perché nessuno vesta i panni di un nuovo Palinuro,
il timoniere della nave di Enea, che in fuga da Ilio, cadde in mare inghiottito
dalle onde. Mario, intanto, combatte contro il vento che soffia ormai a raffiche
di 100 Km l'ora e contro onde che sembrano spalancare voraci fauci quando si
infrangono contro il Blanquilla. Il mare è sempre più increspato
e la spuma che sovrasta la cresta delle onde è spettacolo allo stesso
tempo affascinante e terrificante. E mi sovviene alla mente la carducciana S.
Martino: "...e sotto il Maestrale urla e biancheggia il mare".
Il mare sembra veramente urlare e tremendo è Cauro, travolgente vento
di nord-ovest.
Dalla radio di bordo nel frattempo si susseguono e si distinguono a fatica messaggi
inquietanti, richieste di aiuto da parte di altre sventurate imbarcazioni. In
noi tutti l'incredulità comincia a lasciar spazio all'istintivo turbamento
che si prova di fronte al pericolo o soltanto al pensiero di esso: ossia alla
paura.
Quando dopo già 3 interminabili ore di lotta giungiamo nei pressi del
porticciolo dell'Isola Rossa alla paura si aggiunge lo scoramento e lo smarrimento.
Entrarvi è impossibile: troppo rischioso. Con troppa facilità
ci schianteremmo contro gli scogli. Non resta che riprendere il largo, tornare
in mare aperto e affrontare per tutta la notte la tempesta. Proseguiremo alla
cappa: andatura che non segue una direzione predestinata, ma si rimette alla
volontà del mare per contrastarlo nel miglior modo possibile dimezzando
la velocità e ottimizzando l'impatto con il moto ondoso.
Come la tempesta che separò Ulisse vittorioso di ritorno da Ilio dal
resto della flotta greca, così il Blanquilla tutto solo dovrà
affrontare l'ira di Poseidone. E come Ulisse così Mario tenta di confortarci,
di farci ritrovare il coraggio smarrito Ci urla parole colme di speranza e noi
benché intimoriti gli crediamo, o almeno è questo che vorremmo,
e ci affidiamo a lui perché soltanto lui può guidarci al nuovo
giorno.
Intanto cala la notte buia, cupa, oscura, più nera della pece e tutto
sembra congiurare contro di noi. Perché si guasta il GPS, formidabile
sistema di navigazione satellitare, e le stelle, nostre perenni guide notturne,
non ci sono amiche: il Carro, l'Orsa, Orione... si nascondono, ci sfuggono e
inconsapevolmente ci allontaniamo dalla giusta rotta, quella che potrebbe portarci
alla salvezza. Proseguiamo in balia delle onde più alte e imponenti delle
dardaniche mura, finché una di queste, più devastante delle altre
ci colpisce. Come un pugile, frastornato, ormai sulle gambe, tenuto in piedi
soltanto dalla sua volontà, colpito da un tremendo colpo d'incontro il
Blanquilla si inclina pericolosamente, si piega, sul punto quasi di inabissarsi,
ma miracolosamente resiste. Sospiriamo per lo scampato pericolo, ma il timore
cresce nuovamente nei nostri animi e pensieri cupi pervadono le nostre deboli
menti. E se gli sguardi atterriti e i visi pallidi e contratti di qualcuno dei
miei compagni sono emblematici segni di una paura sempre più crescente,
io, lucidamente, penso che potrebbe essere arrivata la mia ultima ora, che non
avrò un domani, che non rivedrò i miei cari, le persone che amo,
che non manterrò una promessa fatta ad una persona per me speciale prima
di imbarcarmi. E forse questi sono anche i pensieri dei miei amici. Ed è
in questi momenti che mi aggrappo alla Fede, che torno ad essere credente, che
mi affido a Dio semplicemente perché sono un essere umano con le sue
ansie, i suoi timori, le sue paure. Torno nuovamente a sperare, a credere in
me, nonostante il Blanquilla subisca colpi e bordate indicibili e ogni suo tonfo
contro le acque sembri il lamento di un animale ferito.
Mario lotta come un leone e io vorrei tanto aiutarlo, concedendogli una pausa,
mettendomi al timone, sfidando impavidamente Poseidone. Ma forse creerei soltanto
guai, come se già non ce ne fossero abbastanza. Resto comunque con lui
e con l'altro Mario, sempre vigile e attento, perché uno sguardo, una
parola amica, un cenno d'intesa in momenti così terribili può
molto.
Sempre in balia delle onde, con lo stomaco che ha sputato persino l'anima e
con i minuti che trascorrono sempre più lentamente, continuiamo. Un genio
Einstein con la sua teoria della relatività! Sì perché
tutto, è vero, a seconda del contesto è relativo. Accarezzi la
vellutata pelle di una splendida donna e un'ora fugge via in un minuto, ti rovesci
addosso una pentola d'acqua bollente e un minuto ti sembra un'ora. Così
è per noi, sempre prigionieri della tempesta, di una notte che sembra
non avere fine, di un'ansia che torna a crescere nei nostri animi.
Il silenzio regna sovrano sottocoperta, interrotto dall'assordante e ritmico
infrangersi delle onde contro l'imbarcazione, snervante e martellante rumore
che indebolisce e fiacca la nostra resistenza, ormai da tempo messa a dura prova.
Le parole non servono, meglio risparmiare le energie. Uno sguardo d'intesa è
sufficiente. Così, lentamente, trascorre il tempo e le lancette dell'orologio
sembrano ferme: mezzanotte, mezzanotte e uno, e due..., sono passati soltanto
2 minuti e a noi pare un'eternità. Il sonno e la stanchezza ci assalgono:
da 7 ore combattiamo contro la furia del mare. Poi all'improvviso una luce blu
squarcia il buio e una potente voce s'indirizza a noi. E' una lancia della Guardia
Costiera. Il nostro cuore si riempie di speranza. Siamo salvi pensiamo, ma l'illusione
dura pochi istanti. Vedono che stiamo comunque bene, che resistiamo, seppur
a fatica, ma resistiamo. Ci devono abbandonare, ricercare altre due imbarcazioni
che hanno lanciato un SOS, mentre noi abbiamo lanciato un modesto Pan Pan. La
burocrazia fa il suo corso anche nel pericolo. E noi non capiamo. Anche noi
ci sentiamo in pericolo, siamo in pericolo. Ci guardiamo e negli occhi di qualcuno
si legge la delusione, la rabbia, l'ansia, la paura, addirittura il tradimento.
Affranto mi passo le mani fra i capelli, poi con le stesse mi copro il volto.
Mille pensieri mi assalgono e vorrei piangere. Mario capisce la mia debolezza,
mi dà una pacca sulla spalla e mi dice di aver fiducia, che ce la faremo.
Lo guardo, gli credo e mi riarmo di coraggio, di quel suo coraggio che un suo
semplice gesto mi ha trasmesso. E di nuovo cala il silenzio, rotto come sempre
dagli schianti della prua investita dalle onde. Ogni tonfo è callo stesso
tempo speranza e paura: speranza che il Blanquilla regga alla furia della tempesta,
timore che quello schianto possa essere l'ultimo. Se dovessimo rovesciarci,
per noi non ci sarebbero possibilità di salvezza: benché abili
nuotatori non potremmo resistere che pochi minuti alla forza di queste onde,
al freddo delle acque.
E non c'è tregua. Un'altra ondata sollevata dalla Gorgone Tritonia ci
colpisce. Il Blanquilla barcolla come investito da un colpo mortale. L'acqua
del mare si riversa fin dentro la sottocoperta. Sono attimi di terrore allo
stato puro, l'adrenalina scorre a fiumi nelle nostre vene, ma miracolosamente,
ancora una volta, l'imbarcazione recupera il suo assetto. Mario urla che, se
abbiamo resistito a questo colpo, ce la faremo di sicuro... ma anche il Titanic
era inaffondabile.
Nella nostra zona di navigazione, o almeno quella in cui noi crediamo di trovarci,
incrocia un rimorchiatore alla ricerca di una imbarcazione dispersa. Approfittiamo
dell'improvviso colpo di fortuna e prendiamo contatto con lui, sicuri che in
breve tempo saremo tratti in salvo. Ma i minuti trascorrono e ci chiediamo dove
possa essere finito il rimorchiatore perché di lui, se così si
può dire in una notte tempestosa priva del dolce bagliore della luna,
nemmeno l'ombra.
Intanto accanto a noi nuota un delfino. Che sia finalmente un presagio di buona
ventura? Che sia Mercurio, il messaggero degli dei, che ci porta buoni auspici?
Vogliamo credere che sia così, perché anche il più piccolo
e insignificante degli appigli diventa per noi approdo sicuro. Il delfino se
ne va, non lo scorgiamo più, si rituffa fra le acque agitate, ma la sua
breve apparizione ci ha confortato. Siamo di nuovo pronti a resistere a Poseidone,
ma non c'è nemmeno il tempo di provare a sorridere perché di nuovo
ripiombiamo nello sconforto più cupo. Anche Castel Sardo, per noi seconda
possibilità di riparo, è meta irraggiungibile. Ce lo dice una
voce roca che proviene dalla radio di bordo. Non resta che restare ancora al
largo, alla cappa, e continuare a lottare. E lo sconforto aumenta. Come l'araba
fenice che risorge dalle proprie ceneri, si ripresenta la Guardia Costiera.
Che la salvezza sia infine sopraggiunta? Che l'incubo stia per terminare? No,
l'angosciosa notte continua.
Sballottati dalle onde, già esausti, il pericolo e la minaccia per compagni,
ancora una volta il soccorso ci volta le spalle, ci dice che non può
trainarci in un porto sicuro, che ancora una volta dobbiamo contare su noi stessi.
Perché le divinità del mare si accaniscono contro di noi? Di quale
insana colpa ci siamo macchiati? Eppure mai abbiamo offeso Nettuno. Mai al suo
cospetto ci siamo sentiti presuntosi, come Ulisse, quando urlò a Poseidone
di aver conquistato Ilio da solo, con la sua astuzia, con la sua mente, senza
il favore degli dei. Né mai abbiamo accecato Ciclope, uno dei figli del
dio del mare, come fece il re di Itaca, scatenando la sua ira. Perché
allora tanta ostilità, perché l'avversione delle acque? Non sappiamo
rispondere, sappiamo soltanto che siamo nuovamente soli, soli nell'oscurità
e nell'immenso mare che ci circonda, ma bisogna reagire e non abbattersi di
fronte alle avversità, proprio come fece il Laerziade.
La solitudine è nuovamente e improvvisamente rotta da una voce quasi
incomprensibile che urla che ci sta cercando, che non riesce a incrociarci e
ci chiede di lanciare un razzo di segnalazione per individuarci più facilmente.
Autorizzati dalla capitaneria di porto di Porto Torres, Mario effettua il lancio
del razzo. Una luce rossa, incandescente, quasi fosse un meteorite, si staglia
con la sua imponente scia luminosa nel cielo scuro e attendiamo con ansia una
risposta. Ma quella risposta tarda ad arrivare, anzi non giunge proprio.
E non ci accorgiamo intanto che la notte sta cedendo il passo al nuovo giorno,
che le prime luci ci tendono il loro aiuto, che comincia ad albeggiare. Capiamo
subito, invece, che il mare si sta arrendendo, calmando. Quelli che fino a pochi
momenti prima erano cavalloni spaventosi, sono ora onde, ancora consistenti,
ma domabili. Ci affrettiamo a salire in coperta benché le acque investano
ancora, ma con minor forza d'urto, il pozzetto di comando. Mario prende il binocolo,
osserva, poi calcola il nuovo punto nave. Abbiamo rischiato di finire alla deriva,
siamo fuori di 5 miglia rispetto alla rotta che avrebbe dovuto condurci verso
la salvezza, ma laggiù, con il binocolo, si scorge la costa, ristoro
per i nostri occhi, e si intravede Porto Torres, novella Itaca, e gioia dei
nostri animi. Il mare placa sempre più la sua violenza e Mario dà
fondo al motore chiedendogli un ultimo sforzo.
Ci avviciniamo sempre più a Porto Torres e non è un miraggio finché
a 2 miglia dal porto restiamo senza carburante. Allora l'ordine è aprire
le vele, sfruttare il vento. Viriamo, strambiamo, viriamo di nuovo. Vogliamo
entrare in porto da soli, perché soli abbiamo combattuto tutta la notte.
Ormai il mare si è arreso. Forse abbiamo conquistato il suo rispetto.
Ma siamo stanchi, esausti. Non dormiamo dalla notte precedente, siamo digiuni,
le forze ci hanno abbandonato. Ammainiamo le vele e ci facciamo trainare dal
rimorchiatore che infine ci ha avvistato, giunto a prestarci assistenza. Gli
spruzzi delle onde, per noi più simili ora a gocce di rugiada, rinfrescano
i nostri volti, mentre Mario non abbandona il timone e il suo viso tradisce
fierezza e orgoglio. Capiamo che ormai è fatta, che siamo salvi e incoscienti,
o forse inconsciamente, scherziamo e il sorriso accompagna i nostri visi. Ma
il volto di uno di noi, pallido, immobile, teso ci fa da monito, da ricordo
indelebile del pericolo superato.
Giungiamo in porto e mentre raccontiamo ai marittimi che ci interrogano avidamente
e vogliono sapere della nostra avventura, ognuno di noi, chi in un modo chi
in un altro, sfoga la tensione accumulata. E c'è chi fuma ervosamente,
chi si accende una sigaretta, fa due tiri, poi la spegne e ne accende un'altra,
chi scende a terra e la bacia con un trasporto tale da far provare invidia e
da far ingelosire la più passionale delle amanti e c'è chi versa
qualche lacrima e si nasconde perché semplicemente si vergogna.
La burocrazia ci rapisce quello che per noi è ormai il nostro comandante,
quello che senza esagerare ha salvato le nostre vite, quello al quale senza
esitare affiderei nuovamente la mia vita. Intanto chiamiamo i nostri cari per
rassicurarli, per informarli che stiamo bene, perché i media sono ovunque.
Poi Mario ritorna portando con sé le lodi della capitaneria di porto
perché abbiamo superato una tempesta di rara potenza, perché due
imbarcazione sono disperse e noi, invece, grazie a Dio, siamo salvi. "Audax
fortuna iuvat" direbbero i latini, "La fortuna aiuta gli
audaci", ma noi non siamo audaci, spericolati, né temerari,
sappiamo soltanto che la nostra fortuna ha un nome: Mario.
Ci guardiamo, ci diamo "il 5", sorridiamo, ci abbracciamo.
L'incubo è finito, è nata una nuova amicizia, più salda,
più profonda. Indistruttibile.
Sic Ulixes Penelopae "Mox proficiscendum erit mihi". "Così
Ulisse a Penelope: presto dovrò ripartire". E così anche
noi.
Questa è l'avventura del Blanquilla e del suo equipaggio investito il
19 luglio 2001 alle ore 17.00 nei pressi di Capo Testa da una tempesta con mare
forza 9, onde sino a 6 metri e raffiche di vento pari a 100 Km l'ora e giunto
salvo a Porto Torres il 20 luglio alle ore 9.30
Carlo Landoni
p.s. Se quello che hai letto ti è piaciuto (ma non solo) gradirei un messaggio sul Guest Book
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